Sui diritti derivanti dalla disabilità

La recentissima sentenza 16.12.2016 n. 275 in materia di integrazione scolastica, segna un nuovo passo avanti nella tutela della disabilità e come ultimamente abituale, la Consulta si incarica di segnare la strada.

Si afferma infatti che il condizionamento nell’erogazione del contributo alle disponibilità finanziarie di volta in volta determinate dalla legge di bilancio trasformi l’onere della Regione in una posta aleatoria ed incerta, totalmente rimessa alle scelte finanziarie dell’Ente, sottolineando il rischio che le stesse divengano arbitrarie in difetto di limiti predeterminati dalla legge, risolvendosi quindi nella illegittima compressione (nel caso di specie) del diritto allo studio del disabile, la cui effettività non potrebbe essere finanziariamente condizionata.  Ancora, secondo la Corte i servizi che incidono direttamente sulla condizione giuridica del disabile costituiscono il nucleo invalicabile delle garanzie minime volte a rendere effettivo il diritto poiché, nell’argomentato della sentenza, è la garanzia dei diritti incomprimibili ad incidere sul bilancio e non l’equilibrio di quest’ultimo a condizionarne l’erogazione che l’estensore qualifica come doverosa.

In via generale sembra opportuno ricordare che sul tema della condizione giuridica del portatore di handicap confluiscono un complesso di valori che attingono ai fondamentali motivi ispiratori del disegno costituzionale e che conseguentemente il canone ermeneutico da impiegare in siffatta materia è essenzialmente dato dalla interrelazione ed integrazione tra i precetti in cui quei valori trovano espressione e tutela.

A ben vedere la decisione in commento trova fondamento sul fatto che il diritto all’integrazione scolastica è tutelato a livello internazionale dalla Convenzione sui Diritti delle Persone con disabilità del Dicembre 2006, recepita senza limitazioni dalla Repubblica con la legge 18/2009.

Ampliando il discorso è notorio come la medesima Convenzione ricomprenda – tra i diritti fondamentali l’accesso alla giustizia e l’uguaglianza innanzi alla legge (artt. 12 e 13 CDPD) –  circostanza che necessariamente – a parere di chi scrive – incide in tema di applicazione dell’esenzione dalle spese di lite prevista dall’art. 152 disp. att. c.p.c. nella sentenza 19.11.2015 n. 237 è stato stabilito dalla Consulta che il limite di reddito fosse determinato, in caso di convivenza dalla somma dei redditi conseguiti, nel medesimo periodo, da ogni componente del nucleo familiare stabilmente convivente, (art. 15 ter comma 2: salvo che la causa abbia ad oggetto diritti della personalità ovvero quando gli interessi del richiedente siano in conflitto con quelli degli altri componenti del nucleo familiare, evenienze per le quali si tiene conto solo del reddito dell’interessato).

Le due sentenze portano l’ordinamento nazionale finalmente ad un livello più consono ad una interpretazione costituzionalmente orientata anche con riguardo ai Trattati ed alle convenzioni di cui la Repubblica è parte in forza degli artt. 10 e 11 Cost..

Se i diritti della personalità sono quelli che tutelano i beni fondamentali quali ad esempio la vita, l’integrità fisica e morale e la dignità umana ossia quei beni dei quali l’ordinamento si limita a riconoscere l’esistenza, in capo al singolo (art. 2 Cost), su questa base si può osservare che ciò che assume valore dirimente non è la denominazione o l’inquadramento formale della singola provvidenza, quanto piuttosto il concreto atteggiarsi di questa nel panorama delle varie misure e dei benefici di ordine economico che il legislatore ha predisposto quali strumenti di ausilio ed assistenza di categorie deboli,

Per definire se ci si trova o meno innanzi un diritto della personalità occorre verificare se la misura presa in considerazione integri o meno un rimedio destinato a consentire il concreto soddisfacimento di bisogni primari inerenti la sfera di tutela della persona umana, che è compito della Repubblica promuovere e salvaguardare.

Ogni diverso comportamento sarebbe discriminatorio, se si considera che la non discriminazione è il profilo negativo del principio di uguaglianza, in base al quale la parità di trattamento trova la propria base normativa in Costituzione, laddove si indicano determinate caratteristiche che non sono idonee a giustificare un trattamento differenziato ( Luciano Ventura, Il Principio di Uguaglianza nel Diritto del Lavoro Ed. Giuffrè 1984).

Non vi è chi non veda inoltre che il principio generale di non discriminazione equivale alla non esclusione, se è vero che la prevalente dottrina costituzionale tedesca si basa sul concetto del “nessuno deve sentirsi escluso”con profonda influenza sulla costruzione europea se è vero che le tradizioni costituzionali degli stati membri sono parte integrante del diritto comunitario.

Per ciò che concerne il dato nazionale italiano la giurisprudenza costituzionale e di legittimità ha ripetutamente affermato che tanto l’assegno mensile di invalidità civile che la pensione di inabilità civile ex artt. 12 e 13 legge 118/71 e successive modificazioni ed integrazioni, cosi come pure l’indennità di accompagnamento ex art. 1 l. 18/80 rappresentano uno strumento di necessario ausilio per assicurare le minime ed essenziali esigenze di vita della persona che si trovi in condizioni fisiche di assoluta gravità, ed in quanto tale volta ad assicurarne la sopravvivenza (Corte Cost. 11.3.2013 n. 40 e Cass. OL 6.5.2013 n. 10460).

Ora, il diritto ad un’ esistenza libera e dignitosa è certamente reddito ma anche, e talora soprattutto, condizioni del vivere laddove l’immateriale da tono a tutto il resto, determina la qualità stessa della vita.

E’ l’inserimento di un tale concetto in Costituzione che determina il dato più rilevante confermando che ci troviamo di fronte ad una costituzionalizzazione della persona in una materia ancora tanto difficile e controversa eppure esemplare nel definire le modalità del vivere.

Proprio quest’ultima costatazione impone di spingere più a fondo la riflessione, andando oltre la considerazione della sola dimensione dei bisogni materiali ai quali dare risposta in termini monetari, poiché non sono soltanto le povertà post materiali a dover essere oggetto di attenzione.

È la complessità del vivere ad emergere, dunque, non qualcosa che viene dopo la soddisfazione dei bisogni materiali bensì ciò che ad essi inestricabilmente si congiunge. Legami resi evidenti da molteplici norme tra le quali meritano di essere richiamati gli artt. 24, 25 e 26 della Carta dei Diritti Fondamentali della Unione Europea che, considerando analiticamente i diritti di bambini, anziani e disabili rendono particolarmente evidenti i modi concreti dell’esistenza.

Sono aperture significative, sguardi attenti che rammentano come l’esistenza è fatta di autonomia e di partecipazione, di indipendenza individuale e di inserimento sociale, parlandoci di un adempimento dei doveri pubblici rispettoso di persone nelle quali non si manifesta un diverso modo di esistere ma che rendono la condizione umana più evidente nelle sue diverse sensibilità (Stefano Rodotà Il diritto di avere diritti Ed. Laterza 2012)

Le suddette provvidenze, poiché rappresentano interventi integrativi di sostegno alle persone e/o al loro nucleo familiare, si pongono a tutela della salute psicofisica della persona con disabilità ed in quanto tali costituiscono espressione dei diritti della personalità delle persone con disabilità.

Su questa base Il Consiglio di Stato con la nota sentenza 842/2016 ha confermato l’illegittimità del DPCM 5.12.2013 n. 159, ritenendo che le indennità riconosciute ai disabili/invalidi civili non costituiscono reddito ai fini ISEE, poiché sono una compensazione di oggettiva ed ontologica situazione di inabilità, ponendosi in linea con i principi affermati nella convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità adottata dalla assemblea generale il 13.12.2006 e ratificata con la legge n. 18 del 2009, ove vengono tra l’altro sottolineati oltre l’esigenza di assicurare il pieno rispetto dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali anche l’impegno a sviluppare misure tese a soddisfare le esigenze educative e rieducative dei soggetti portatori di disabilità, quelle connesse al lavoro nonché quelle tese a garantire un adeguato livello di vita e di protezione sociale (Corte Cost. 16.12.2011 n. 329), trattandosi di prestazioni assistenziali fondate e parametrate totalmente ed esclusivamente sullo stato di bisogno e sulla necessità di assicurare i mezzi necessari per vivere laddove le prestazioni previdenziali da un lato presuppongono un rapporto assicurativo che è assente nelle prime e dall’altro sono strutturate e finalizzate in funzione di una tutela più ampia e diversamente strutturata, prevista per i lavoratori assicurati (Cass. SU 21.5.2015 n. 10454).

Ma vi è di più: conforta la ricomprensione delle provvidenze assistenziali nel novero dei diritti della personalità la circostanza per cui il Trattato di Lisbona riconosce i diritti fondamentali, le libertà ed i principi sanciti nella Carta di Nizza cui viene assegnato il valore giuridico dei Trattati ed aggiungendo che i diritti fondamentali della CEDU e risultanti dalle tradizioni costituzionali comuni agli stati membri, sono parte del diritto dell’Unione.

Ora, sul punto è agevole verificare che l’Unione e gli Stati Membri tenuti presenti i diritti sociali fondamentali hanno come obiettivi la promozione dell’occupazione, il miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro che consenta la loro parificazione nel progresso, una protezione sociale adeguata, il dialogo sociale e lo sviluppo delle risorse umane (art. 151 TUE Lisb).  Ancor più specificamente in tema di disabilità nell’art. 26 della Carta dei Diritti Fondamentali della UE si riconosce e si rispetta il diritto delle persone con disabilità di beneficiare di misure intese a garantirne l’autonomia, l’inserimento sociale e professionale e la partecipazione alla vita della comunità.

Con ogni evidenza le provvidenze del sistema assistenziale sono erogate al fine di attenuare una situazione di svantaggio, e tendono a dare effettività al principio di uguaglianza. Non vi è allora chi non veda che l’indennità di accompagnamento e tutte le altre forme risarcitorie servono non a remunerare alcunché bensì a compensare una oggettiva ed ontologica situazione di inabilità che provoca di per sé disagio e diminuzione della capacità reddituale con necessità di intervento pubblico al fine di garantire la sopravvivenza dei soggetti coinvolti, ristabilendo una parità morale e competitiva.

A titolo esemplificativo vediamo le conseguenze processualmente rilevanti in ordine alla applicabilità dell’art. 152 disp. att. c.p.c. nel testo vigente.

Come noto l’attuale testo è stato introdotto dal Governo Berlusconi con l’art. 42 DL 269/2003 (l. 26.11.2003 n. 326) con limiti reddituali molto stringenti nei giudizi per prestazioni assistenziali e previdenziali e con valenza di un reddito “familiare” (art. 76 comma 2 DPR 115/2002).

La Consulta conferma che si tiene conto del solo reddito personale nelle cause che abbiano ad oggetto diritti della personalità, a prescindere da ogni considerazione di tipo finanziario o di bilancio e il Consiglio di Stato – di fatto – ricomprende le provvidenze per invalidità civile tra i diritti della personalità in quanto tendenti alla tutela della salute psicofisica del disabile.

Leggi la Sentenza della Cassazione