Criticità e prassi applicative nel giudizio ex art. 445 bis c.p.c, nei tribunali del comprensorio della corte d’appello di Roma
Avv. Silvia ASSENNATO – Avvocato in Roma
Il dibattito sul contenzioso previdenziale ed assistenziale è ricorrente negli ultimi cinque lustri.
Affronteremo i principali problemi interpretativi posti dall’art. 445 bis c.p.c. nelle controversie previdenziali ed assistenziali. Dalla nuova disposizione (entrata in vigore il 1° gennaio 2012), infatti, nascono notevoli dubbi e complicazioni pratiche, che mal si conciliano con gli asseriti scopi deflattivi ed acceleratori che pur si dovrebbero perseguire.
Tenterò, senza pretendere di essere esaustiva, di offrire una panoramica generale dei problemi, risultanti dalla quotidiana pratica professionale in questo campo e nei limiti del possibile delle rispettive, possibili soluzioni, tenendo conto anche degli orientamenti giurisprudenziali già formatisi al riguardo.
Prova del dibattito tuttora esistente è il titolo stesso di questo corso come anche i molti protocolli che nei primissimi periodi di applicazione sono stati conclusi con le autorità giudiziarie per la redazione degli atti e la gestione delle udienze, in alcuni dei quali ho avuto fortuna di partecipare personalmente.
L’idea su cui ha scommesso il legislatore non ci sembra né utopistica né irragionevole, pur dovendo riconoscersi che, in virtù del congegno processuale descritto dall’art. 445 bis c.p.c, potrebbero verificarsi casi in cui il conseguimento della provvidenza connessa allo stato di invalidità debba passare attraverso tre distinti procedimenti giurisdizionali: ricorso per A.T.P.; eventuale giudizio limitato all’accertamento del requisito sanitario e deciso con sentenza inappellabile; eventuale altro giudizio, sui requisiti extrasanitari e deciso con sentenza, soggetta agli ordinari mezzi di gravame.
Infatti quando si accerti – attraverso una delle diverse fasi possibili – l’esistenza di una invalidità che conferisca il diritto a prestazioni si apre necessariamente la fase di verifica dei requisiti socioeconomici, una fase che la legge non delinea specificamente, limitandosi a onerare l’INPS delle relative verifiche ed a procedere al pagamento, entro 120 giorni dalla notifica del provvedimento (omologa o sentenza a secondo dei casi).
Ne deriva che ove l’istituto non provveda – e capita più spesso di quanto si creda – la parte istante sarà obbligata a proporre un diverso giudizio questo si a cognizione piena ancorchè limitato ai soli requisiti extrasanitari, essendo l’accertamento sanitario ormai intangibile, quello che brevemente è chiamato “quantum” laddove si deve provvedere a quantificare la somma asseritamente dovuta e nuovamente il possesso dei non requisiti sanitari.
La struttura di questo diverso giudizio è – nell’esperienza – condizionata dal fatto che perlomeno il decreto di omologa non ha e non può avere natura esecutiva, per cui non si può avere accesso alle procedure esecutive che si instaurano con precetto.
A ben vedere la linea che progressivamente si è imposta è incentrata sui versanti sensibili dell’agire in giudizio quali l’insopportabilità del rischio del pagamento degli oneri processuali e il rigore di termini di decadenza brevi o brevissimi, hanno certamente sortito l’effetto deflattivo voluto dalla norma, soprattutto se si guarda alla seconda fase (cd merito) dove spesso si preferisce consigliare la proposizione di nuova domanda, pur se a scapito degli arretrati.
È disposto l’esperimento obbligatorio dell’accertamento tecnico preventivo che andrà espletato da consulenti iscritti in appositi albi, a pena di improcedibilità della domanda giudiziale, per le seguenti materie: invalidità civile, cecità civile, sordità civile, handicap e disabilità, pensione di inabilità ed assegno di invalidità ex l. 222/84, secondo l’art. 445 bis c.p.c.[1]
Va ribadito che la novella al codice di rito, con l’introduzione dell’art. 445 bis c.p.c. ha avuto il dichiarato fine di realizzare una maggiore economicità dell’azione amministrativa, di deflazionare il contenzioso e di contenere la durata delle controversie previdenziali e assistenziali in termini di ragionevolezza sanciti anche dalla CEDU.
L’introduzione della novella ha comunque determinato una rivoluzione per quanto riguarda il comparto assistenziale e previdenziale della giustizia del lavoro.
Un qualcosa che ha costretto me, e molti dei miei colleghi a diventare anche altro da sé, perché la struttura del giudizio impone una comprensione di materie che sono tutt’altra cosa rispetto al diritto appreso in anni di professione, come la comprensione veloce di un elaborato peritale da cui discende il rapporto molto stretto con i propri consulenti di parte[2] (medici o ambientali che siano)
Il tratto essenziale è – a memoria – la disposta scissione in due fasi delle controversie intese al conseguimento di benefici assistenziali o previdenziali che siano connessi allo stato di invalidità.
Tuttavia nell’esperienza maturata in questi anni di applicazione e pratica i suddetti requisiti socio economici vanno comunque provati in quanto vincolati, da una parte della dottrina, al principio generale dell’interesse ad agire ex art. 100 c.p.c.
In quest’ottica l’onere di provare i requisiti di cui sopra ricade certamente sulla parte che agisca in giudizio, costituendo, forse, una surrettizia inversione del suddetto onere, o quantomeno una sua duplicazione.
Oggetto dell’accertamento sono dunque sempre e solo le condizioni sanitarie che legittimano la pretesa e l’istanza deve essere presentata al Tribunale in funzione di Giudice del Lavoro in cui risieda l’attore. Si segue l’art. 696 bis c.p.c. in quanto compatibile.
Nella prassi, per tutta la prima fase, il giudizio è di fatto sottratto al giudice che è necessariamente vincolato al parere dell’ausiliario di sua nomina.
L’improcedibilità, del ricorso ordinario, per mancato esperimento del predetto accertamento deve essere eccepita da controparte a pena di decadenza ovvero rilevata dal giudice d’ufficio, non oltre la prima udienza.
In tal caso al pari della mancata conclusione dell’accertamento tecnico solo iniziato, il giudice assegna alle parti termine pari a 15 giorni per presentare, ovvero per concludere, l’accertamento. Il deposito dell’istanza. interrompe la prescrizione.
La riforma del sub procedimento per l’espletamento delle CTU -già operata con legge 69/2009 ha favorito l’inserimento di una notevole dose di contraddittorio all’interno delle operazioni peritali mediante lo scambio preventivo della bozza e delle osservazioni alle quali l’ausiliare risponderà per iscritto nel corpo della relazione c.d. definitiva che depositerà nella cancelleria del giudice in uno con le medesime osservazioni e ad una sintetica valutazione delle stesse.
Lo schema in sé appare molto semplice e funzionale ma nella prassi, rappresenta uno dei punti maggiormente critici per una gestione equilibrata delle controversie, tenendo anche conto che l’introduzione del procedimento ex art. 445 bis ha accelerato i termini e soprattutto della assoluta preponderanza del parere peritale in questa specifica fase.
Si tratta quindi di uno strumento processuale (i.e. un’ipotesi specifica di improcedibilità del ricorso ex art. 442 e ss) che riguarda specificamente alcuni tipi di controversie, segnatamente quelle che coinvolgono persone con disabilità.
Ci sono luci, date forse dalla apparente maggiore brevità comunque relativa del procedimento ma ci sono anche tante ombre che, i quasi otto anni di applicazione, non hanno contribuito a chiarire.
I punti che rimangono ancora critici a nostro modo di vedere sono, non in ordine di importanza:
- Il contenuto della norma;
- La riqualificazione della domanda;
- L’inefficacia del merito;
- L’assenza della c.d. omologa parziale;
- Il rispetto dei termini;
- Le spese;
- Gli aggravamenti e la c.d. spunta;
- La rivedibilità stabilita in CTU;
1-2. I primi due punti sono evidentemente collegati, in quanto capita spesso che cause istaurate con l’ordinario rito del lavoro e previdenziale, vengano riqualificate secondo la novella di cui stiamo parlando per farle rientrare nell’ambito del 445 bis, in particolare per quanto riguarda le controversie ai pensionamenti anticipati di vecchiaia che però riguardano l’invalidità civile solo incidentalmente in quanto sono e rimangono questioni riguardanti le pensioni di vecchiaia.
Spesso infatti si argomenta – per arrivare ad una inammissibilità della domanda giudiziale – sul fatto che manchi la domanda amministrativa che per questo tipo di controversie, non può che essere quella di pensionamento che risponde a specifici criteri anagrafico-contributivi e che può essere, come normalmente lo è, successiva al riconoscimento dell’invalidità minima per l’accesso al beneficio.
Ci si chiede, se a fronte di una norma sufficientemente chiara nella sua elencazione (cfr nota 1), sia o meno consentita una riconversione al rito speciale di controversie che riguardano questioni non specificamente previste dal testo della novella o se non sia invece più utile e corretto indagare preliminarmente, in prima udienza, le ragioni che abbiano indotto ad usare uno strumento processuale diverso dal ATPO, nel limite in cui le suddette ragioni siano rilevanti.
3-4. quella che qui è qualificata come inefficacia del merito, riguarda la tendenza – riscontrata anche qui nella pratica – di non rinnovare l’accertamento peritale, limitandosi a chiamare a chiarimenti il consulente già nominato nella fase precedente; ora se anche in questo “secondo grado” i chiarimenti resi sono normalmente più corposi di quanto non fosse in precedenza ove questa fase era normalmente risolta a verbale in udienza, non vi è chi non veda che il mancato rinnovo della consulenza unito spesso alla circostanza che la composizione monocratica del Tribunale non muta, è un elemento forte di criticità sembrando palese a chi scrive il fatto che, in mancanza di un rinnovo, non è possibile porre in essere una discussione diversa e serena delle conclusioni rilasciate dall’ausiliare nella prima fase di giudizio e molti dubbi sono sorti anche in ragione della evidente non terzietà del giudizio reso da un professionista che tenderà a difendere il proprio lavoro svolto in precedenza.
Altro problema sorto nel confronto professionale è la mancata previsione normativa della c.d. omologa parziale, laddove la parte privata abbia deciso di agire per contrastare uno spostamento, di decorrenza operato dal consulente in fase di ATP, considerato eccessivo o non giustificati, la circostanza che non si possa contestare l’elaborato se non nella sua interezza (come da giurisprudenza ormai consolidata, da ultimo Cass. SL 9755-2019) è tale da squalificare tale seconda fase non consentendo un corretto e completo accesso alla giustizia.
5. abbiamo già visto come la modifica dell’art. 195 c.p.c. inserito con DL 69/2009 abbia spostato la sede del contraddittorio medico legale in fase endoprocessuale, anche questo elemento può considerarsi parzialmente problematico se – come spesso accade – l’ausiliare non rispetta i termini assegnati, ovvero se tali termini cadono in periodo “sensibile”, considerando che non vi è sospensione feriale dei termini per questo tipo di procedure. Peraltro anche qualora sia provato che i termini assegnati non sono stati rispettati, si tratta di circostanza che quasi mai porta conseguenze, mentre la scadenza del termine assegnato alla parte privata comporta decadenza, con evidente e riteniamo ingiustificata disparità.
6. In punto di spese l’applicazione dell’art. 152 disp. att. c.p.c. è stato ed è forse il punto più controverso se si considera che la giurisprudenza costituzionale ha più volte stabilito che il limite di reddito fosse determinato, in caso di convivenza dalla somma dei redditi conseguiti, nel medesimo periodo, da ogni componente del nucleo familiare stabilmente convivente, art. 15 ter comma 2, salvo che la causa abbia ad oggetto diritti della personalità ovvero quando gli interessi del richiedente siano in conflitto con quelli degli altri componenti del nucleo familiare, (evenienze per le quali si tiene conto solo del reddito dell’interessato).
Si tratta di un elemento fortemente deflattivo in quanto, pur trattandosi con ogni evidenza di controversie relative a diritti della personalità, questa linea non è mai passata ed il rischio di condanna alle spese è tale da scoraggiare l’accesso alla giustizia, anche se la controparte spesso è difesa da funzionari.
7.ltimamente la difesa dell’istituto si costituisce sostenendo da un lato l’inesistenza della domanda per mancata “flaggatura” e dall’altra che non si possa, in sede di CTU prendere in considerazione patologie o aggravamenti diversi rispetto a quanto denunciato in fase amministrativa, rispetto alle quali andrebbe proposta nuova domanda amministrativa.
Si tratta di eccezioni rispetto alle quali si sono già pronunciati diversi Tribunali, affermando che non esiste una norma che abbia modificato o abolito l’art. 149 disp. att. c.p.c. che quindi conserva la propria validità in ordine agli aggravamenti verificatisi in fase endoprocessuale ma, a prescindere dalla soluzione tecnica occorre considerare altri elementi ovvero il fatto che una siffatta visione porrebbe nel nulla l’effetto deflattivo che fonda l’intero sistema e anche la circostanza, non da poco, che è lo stesso sistema informatico di INPS che impedisce la presentazione di una domanda nuova in pendenza di giudizio, il che significa a parere di chi parla che gli aggravamenti possono e devono necessariamente essere fatti valere nel giudizio pendente.
Sulla questione della c.d. spunta da ultimo si è pronunciata la Suprema Corte, affermando che la legge 102/2009 nel richiedere che sia allegata la certificazione medica con indicazione delle infermità nulla aggiunge – in tema di indennità di accompagnamento – rispetto alla quale il modello predisposto da INPS prevede che sia barrata l’ipotesi corrispondente, ma la relativa barratura o flaggatura non costituisce requisito imprescindibile della domanda, non essendo infatti necessaria la formalistica compilazione dei moduli predisposti da INPS o l’uso di formule sacramentali al fine di integrare la necessaria presentazione della domanda essendo sufficiente che la stessa consenta il regolare svolgimento della fase amministrativa e della prestazione richiesta, anche attraverso l’interpretazione di buona fede della domanda (Cass. SL 27.5.2019 n. 14412).
8. Altro elemento di criticità delle fasi successive al giudizio sono le rivedibilità stabilite dal CTU nel corso del procedimento e che – spesso pur non avendo una statistica a disposizione – non consentono alla parte privata di godere del diritto riconosciuto prima di essere sottoposti a revisione, forse – ma è un parere personale – perché i termini di rivedibilità, anche ove giustificati, sono troppo brevi.
Speriamo di aver sollevato abbastanza dubbi e che la discussione di oggi e dei prossimi incontri sia fruttifera e contribuisca a modificare le prassi esistenti ed applicate in materia.
[1] L’art. 445 bis c.p.c. stabilisce: “nelle controversie in materia di invalidità civile, cecità civile, sordità civile, handicap e disabilità nonché di pensione di inabilità ed assegno di invalidità disciplinati dalla legge 12 giugno 1984 n. 222, chi intende proporre in giudizio domanda per il riconoscimento dei propri diritti presenta con ricorso al giudice competente ex art. 442 c.p.c. presso il Tribunale nel cui circondario risiede l’attore, istanza di accertamento tecnico per la verifica preventiva delle condizioni sanitarie legittimanti la pretesa fatta valere. Il giudice procede a norma dell’art, 696 bis c.p.c. in quanto compatibile, nonché secondo le previsioni inerenti all’accertamento peritale di cui all’art. 10 comma 6-bis del decreto 30.9.2005 n. 203, convertito con modificazioni nella legge 2.12.2005 n. 248 e all’art. 195.
L’espletamento dell’accertamento tecnico preventivo costituisce condizione di procedibilità della domanda di cui al primo comma. L’improcedibilità deve essere eccepita dal convenuto a pena di decadenza o rilevata d’ufficio dal giudice, non oltre la prima udienza. Il giudice ove rilevi che l’APT non è stato espletato ovvero che è iniziato ma non si è concluso, assegna alle parti il termine di 15 giorni per la presentazione dell’istanza di APT ovvero di completamento dello stesso.
La richiesta di espletamento dell’ATP interrompe la prescrizione ed il giudice, terminate le operazioni di consulenza, con decreto comunicato alle parti fissa un termine, perentorio non superiore a 30 giorni entro il quale le medesime devono dichiarare con atto scritto depositato in cancelleria, se intendono contestare le conclusioni del CTU.
abbia dichiarato di contestare le conclusioni del CTU deve depositare presso il giudice di cui al In assenza di contestazione il giudice, se non procede ai sensi dell’art. 196, con decreto pronunciato fuori udienza entro trenta giorni dalla scadenza del termine previsto dal comma precedente, omologa l’accertamento del requisito sanitario secondo le risultanze probatorie indicate nella relazione del CTU, provvedendo sulle spese. Il decreto – non impugnabile né modificabile è notificato agli enti competenti che provvedono subordinatamente alla verifica di tutti gli ulteriori requisiti previsti dalla normativa vigente, al pagamento delle relative prestazioni, entro 120 giorni.
Nei casi di mancato accordo la parte che comma primo, entro il termine perentorio di 30 giorni, dalla formulazione della dichiarazione di dissenso, il ricorso introduttivo del giudizio, specificando a pena di inammissibilità i motivi della contestazione. La sentenza che definisce il giudizio previsto dal comma precedente, è inappellabile.
[2] Il ruolo dei CTP in questa fase è fondamentale e si basa su: Presenziare alle operazioni peritali, rendere osservazioni in sede di bozza, predisporre note a supporto del giudizio ordinario evidenziando carenze e lacune della relazione senza riproporre critiche di fatto già respinte.