La consulta come motore di una riforma necessaria ed ormai ineludibile

Avv. Silvia Assennato

La Corte Costituzionale ha risolto la questione di costituzionalità sollevata nei confronti dell’art. 12 della legge 118/71 in tema di pensione di inabilità civile.

La sentenza 152/2020 (qui la sentenza commentata) ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 38 comma 4 della legge 28 dicembre 2001 n. 448 nella parte in cui, relativamente alle persone riconosciute inabili civili dispone che gli aumenti normativamente previsti siano garantiti a partire dal 60 anno di età e non anche per il periodo anteriore, trattandosi di persone che hanno una capacità lavorativa residua pressoché nulla, ciò che viene da alcuni definito un cascame senza possibile utilità propria e verso l’esterno.

Nella disamina operata dal giudice delle leggi e nella motivazione della sentenza pubblicata emergono, indubbiamente, elementi di principio e di cultura estremamente rilevanti come l’esteso e costante richiamo alla convenzione ONU del 2006 ed al fatto che le misure attualmente in essere sono largamente sottodimensionate rispetto ai bisogni cui dovrebbero contribuire a dare soddisfazione. Nonostante la motivazione, ampia ed articolata, e l’ampio risalto avuto ancor prima della pubblicazione si tratta, forse, di una sentenza meno rivoluzionaria di quanto si sia stati indotti a pensare in base alle prime notizie di stampa circolate a margine dell’udienza di discussione.

La norma effettivamente censurata è un comma di una finanziaria di quasi quattro lustri fa, quella che prevedeva l’incremento delle maggiorazioni sociali al fine di garantire un reddito proprio pari a € 516,46 per tredici mensilità agli ultrasettantenni, limite anagrafico che si abbassava a 60 anni nel caso di invalidi ciechi o sordi civili.

L’incremento sociale oggi previsto consentirebbe di arrivare a garantire un massimo di € 651,51 al mese per 13 mensilità, ma in realtà le maggiorazioni vanno calibrate caso per caso e qualsiasi diverso reddito fa scendere l’ammontare dell’incremento fin quasi al suo totale azzeramento, proprio perché si tratta di quella che tecnicamente è definita integrazione al minimo laddove se il minimo viene superato con altri mezzi l’integrazione sociale non ha ragion d’essere. Ai fini del calcolo dei redditi non sono conteggiate le pensioni e le indennità di accompagnamento per invalidità civile, cecità, sordità e altre erogazioni assistenziali erogate da enti locali (esempio FNA, vita indipendente ecc.); non è conteggiato nemmeno il reddito dalla casa di prima abitazione

Sono conteggiati invece tutti i redditi da lavoro dipendente o autonomo, anche occasionale, o a tempo parziale, comprese le borse lavoro comunque denominate, le pensioni previdenziali, incluse quelle ai superstiti (reversibilità).

Si tratta di un conteggio da fare caso per caso e che prescinde dall’ISEE

In estrema sintesi si può dire che:

  • hanno diritto all’incremento previsto dall’articolo 38, comma 4, della legge 448/2001 anche invalidi civili totalisordi o ciechi civili assoluti titolari di pensione o che siano titolari di pensione di inabilità previdenziale (legge 222/1984) dai 18 ai 60 anni;
  • l’incremento consente di arrivare ad una erogazione complessiva pari a euro 651,51, per tredici mensilità.
  • l’incremento massimo per invalidi civili totali e sordiè pari a 364,70 euro mensili;
  • l’incremento massimo per i ciechi assolutiè pari a 341,34 euro mensili;
  • il limite di reddito personaledi riferimento per il pensionato solo è euro 8.469,63;
  • il limite di reddito coniugaledi riferimento per il pensionato coniugato è euro 14.447,42

Si conferma l’esclusione dall’incremento sociale per:

  • gli invalidi civili parziali;
  • gli invalidi civili totali, i ciechi totali, i sordi che non percepiscono la pensione; perché superano i limiti reddituali fissati per la sua erogazione;
  • i minori invalidi, ciechi o sordi che siano[1];

Al di la degli elementi pratici che si è cercato di evidenziare, senza pretesa di completezza e di definitività posto che solo la pratica concreta e quotidiana potrà confermare o smentire quelle che al di fuori del caso concreto rimangono ipotesi tutte da verificare riveste forse maggiore interesse, per l’operatore del diritto, la questione che pur posta dalla corposa ordinanza collegiale di rimessione è stata rimessa dal giudice costituzionale al legislatore per competenza, sia pure con una “indicazione operativa” si ritiene particolarmente pregnante.

L’affermazione della Corte per cui l’importo mensile della pensione di inabilità di attuali € 286,81 è innegabilmente e manifestamente insufficiente ad assicurare agli interessati il minimo vitale e non rispetta dunque il limite invalicabile del nucleo essenziale ed indefettibile del diritto al mantenimento garantito ad ogni cittadino inabile al lavoro dall’art. 38 primo comma Cost, pur non avendo portato ad una declaratoria di incostituzionalità come detto per competenza, rende tuttavia ancora una volta palese il fatto che sia necessaria ed urgente una riforma complessiva e globale del sistema disabilità, riforma da attuarsi mantenendo come perno i diritti civili della persona con disabilità.

La pronuncia in commento, prevedendo la revisione in chiave di adeguamento del comparto invalidità civili, può costituire se se ne seguono con coerenza i percorsi un tassello fondamentale per arrivare a riformare una parte rilevante del nostro ordinamento nel quale tuttora prevalgono, in massima parte sistemi essenzialmente sostitutivi nella assunzione delle decisioni che riguardano le persone con disabilità.

[1] Fonte www.handilex.org