Viaggio nell’accesso alla giustizia

L’accessibilità è fondamentale, non solo quella architettonica e fisica (più immediata da riconoscere e anche da raggiungere), ma anche quella dei servizi e delle possibilità che vengono offerte a tutta la cittadinanza, senza fare distinzioni.

Perché l’accesso alle informazioni è anche esso un diritto che deve essere garantito, anche a chi non può o ha difficoltà a percepire e/o a comprendere una comunicazione standard o specialistica e perché abbattere barriere significa dare alle persone la possibilità di essere pienamente attive, e di prendere parte alla società in ogni suo aspetto.

Ma per abbattere barriere – di qualunque natura – è necessario conoscerne l’esistenza e quali esse siano, per farlo è necessaria ed imprescindibile la partecipazione di tutti, in un percorso che sia condiviso ed utile.

Speriamo di contribuire ad un momento di riflessione che possa gettare le basi per gli interventi di ogni natura necessari al compimento di un diritto pienamente accessibile.

Abbattere le barriere significa anche trovare la propria posizione nel mondo ed è qualcosa che riguarda tutti e di cui si prende consapevolezza spesso partendo dal piano professionale.

Perché il lavoro è qualcosa di identitario che ti proietta verso l’esterno nel rapporto con il mondo.

Avere la fortuna di trovare un cammino da portare avanti non è da disprezzarsi ed anzi, è qualcosa per cui ringraziare a cadenza regolare, se non ogni giorno.

Questo vale anche – e forse anche di più – per le persone con disabilità, in generale nel mondo del lavoro o che scelgano di affacciarsi alla libera professione.

E personalmente di fortuna ne ho avuta molta.

Molta fortuna. E quattro sfighe. Due visibili, due meno:

  • sono una persona con disabilità, e questo è evidente;
  • sono donna, e anche questo penso si veda;
  • sono figlia e nipote di avvocati, e sono avvocato;
  • ero giovane, 29 anni fa, quando ho iniziato con queste riflessioni.

Il fatto stesso che io sia qui a parlarne significa aver convertito elementi potenzialmente critici in elementi di riflessione se non di forza.

La fortuna di cui parlo è che molte cose non le ho vissute, dalla ricerca di uno studio a tante incertezze di cui pure ho parlato con tanti amici e colleghi.

Sono stata privilegiata sì, ma ci è comunque voluto coraggio, passione, molta dedizione e tantissimo lavoro perché la cosa più difficile è conservare e far crescere qualcosa che altri hanno costruito, senza farsi schiacciare dal peso della propria storia.

Ho sempre cercato di mettere al servizio degli altri le mie energie e le esperienze maturate in questi anni di esercizio professionale, e non solo, tutto questo cercando di non perdere la bussola della cura dell’altro e di spirito di servizio

Non so dire se ce l’ho fatta, perché ce la si fa ogni singolo giorno e perché non sta a me dirlo ma di certo non sono più la novellina del gruppo e questo – almeno per me – qualcosa significa.

Vuol dire che è arrivato il momento di condividere, cercando di restituire in parte, e perché altri possano se vorranno, prendere spunto dalla mia esperienza.

La riflessione che ho sviluppato in questi anni è che la mia posizione mi consente di vedere e di percepire quali siano le difficoltà che può incontrare un cittadino con disabilità di fronte al sistema giustizia e che, fra i cittadini, ci sono anche gli avvocati.

Tutto questo perché è necessario porre in luce un aspetto della procedura ovvero proprio l’accesso alla giustizia delle persone con disabilità, spesso trascurato o pretermesso, a prescindere dalla dalle diverse sfumature del fenomeno, perché è evidente che l’accostamento tra disabilità e processo è tuttora in grado di far vacillare le garanzie e i diritti processuali della parte pretesa vulnerabile, ma anche le tutele per le altre parti processuali, in una parola i fondamenti stessi del processo.

Anche in questo mi muove la convinzione che le pari opportunità siano una cosa seria che prescinde e supera le questioni di genere e anche, permettetemi, di bandiera.

Una cosa seria dicevo che rappresenta il futuro di tanta parte del nostro lavoro quotidiano e della professione di avvocato che deve tendere – mi piace ricordarlo – alla tutela dei diritti ed alla cura delle persone.

È un obiettivo ambizioso che si può raggiungere attraverso l’applicazione degli adattamenti ragionevoli e della tecnologia alla professione.

Perché, se è vero che l’accesso alla giustizia è un diritto universale, come da art, 19 CDPD, esso è – più spesso di quanto si creda – un diritto inespresso, che si rischia di perdere.

A grandi linee rammentiamo che i cardini del discorso sono e devono rimanere gli artt. 12 e 19 CDPD per cui il principio fondamentale è il rispetto della volontà, dei desideri e delle preferenze della persona con disabilità, concetto che si spera ci allontani definitivamente da una visione paternalistica.

Gli adattamenti ragionevoli li stiamo ormai digerendo, pur se lo strumento base per rendere accessibile la giustizia sono gli adeguamenti processuali, fra questi le persone sono – forse – il principale.

Proprio il rigoroso rispetto del principio volontaristico fa comprendere come non sia applicabile nella materia che ci occupa il concetto di interesse superiore, il che fa comprendere come gli adeguamenti scelti in autonomia dal soggetto come utili per sé, prevalgano su quelli eventualmente proposti da altri.

Perché – con le parole della Presidente Emerita della Consulta Silvana Sciarra – il diritto all’accertamento giudiziale è il volto processuale del dovere di salvaguardia della dignità, nel rispetto del giusto processo.

La necessaria personalizzazione degli adeguamenti processuali rende agevole la loro qualificazione come strumenti volti ad assicurare la rivendicabilità – e dunque la tutela – dei diritti, in particolar modo all’interno del processo, ma non solo.

Per ciò che concerne i professionisti della giustizia gli adeguamenti processuali possono andare da un semplice zaino a cose molto diverse, tra cui si ricomprende il cosiddetto legal tech.

Se non è possibile pervenire ad una elencazione completa ed esaustiva degli adeguamenti processuali – della cui utilità si dubita – è evidente però come sia necessario pubblicizzare la loro esistenza, per dar modo alle persone di poter porre attenzione al tema e per poter scegliere e richiedere gli adattamenti che si stimano appropriati.

Infatti, l’inarrestabile progressione tecnologica ci obbliga a renderci conto di come si stia rimodellando l’esigenza di accessibilità: giorno dopo giorno, siamo chiamati a rispondere a un’esigenza di accessibilità, non più solo fisica e architettonica, ma sempre più rivolta all’avvicinamento che le persone con disabilità devono fare verso i servizi digitali.

È evidente la diversità sia ancora e sempre di più un valore aggiunto da perseguire e da proteggere per arrivare ad un mondo – anche professionale – non omologato né omologante ma inclusivo ed aperto, coerente con i valori che da sempre hanno ispirato e guidato il mio essere avvocato e la mia vita, quelli della Costituzione del ’48.

Inclusione è però ormai un termine scivoloso che consente di ragionare sul fatto che averci a che fare può essere frustrante, in quanto non si arriva mai a destinazione, ma si cambia nel viaggio.

La prospettiva cambia considerando che includere veramente significa non discriminare, non omologare e maturare come persone attraverso gli altri.

Si ritiene necessario uno sguardo differente sulla professione una visione che consenta di individuare interventi utili e concreti che contribuiscano ad un effettivo efficientamento e miglioramento della professione e – con essa – del servizio giustizia, anche per i colleghi ed i cittadini con disabilità.

È infatti in progressivo aumento, empiricamente, la richiesta di valutazione delle capacità residue di una persona a fini di integrazione e per lo studio degli adattamenti ragionevoli.

Le molte evoluzioni della sensibilità generale, nonché sul piano giuridico e medico legale, consentono di immaginare e costruire una maggiore attenzione alla persona al fine di assicurare maggiore indipendenza, riduzione dello stigma sociale e – per quanto possibile una più soddisfacente vita sociale, conseguendo la tutela integrale della persona e la sua realizzazione.

La costruzione di una rete di formazione ed informazione tra i vari livelli professionali che a vario titolo si occupano di questi casi, può rispondere alle varie domande e questioni ancora non risolte, se si pensa alle diverse sensibilità e proposte di regolamentazione,

Ritengo sia necessario cogliere ogni possibile occasione per stimolare quanti, a più livelli e in più ambiti si occupano di tutelare il patrimonio delle persone, fornendo spunti di riflessione e confronto, per quanto parziali, individuali e non certamente esaustivi, nella convinzione che la giustizia sia e debba rimanere uno strumento utilizzabile universalmente, piuttosto che costituire un’ulteriore barriera, questa volta giudiziaria.

L’applicazione coerente degli adeguamenti processuali richiede – e richiederà – agli operatori della giustizia un importante lavoro quasi pedagogico da ogni singolo punto di vista specialistico, in ottica necessariamente multidisciplinare, nel rigoroso rispetto dei diritti e delle libertà fondamentali di ciascuno, senza eccezione alcuna.

Si consideri infatti che un processo svolto – in ogni sua parte – senza la garanzia dell’accesso agli adeguamenti processuali rischia di non essere conforme al giusto processo e dunque autonomamente e direttamente fonte e motivo di discriminazione.

È un argomento di cui la letteratura specialistica nazionale parla poco ma che è il riflesso del principio generale del giusto processo nella misura in cui la loro presenza tende a rendere comprensibile e fruibile un procedimento giudiziario.

Sarà anche necessario prevedere dei riequilibri tecnici che consentano di superare imprecisioni o vere e proprie mancanze nella normativa sostanziale e processuale, derivanti anche dalla variabilità nelle definizioni di disabilità, rispetto alle quali anche le ultime novità sono tutt’ora contraddittorie.

Proprio in questa ottica l’obbligo di prevedere e di fornire gli adeguamenti processuali trova la propria fonte nei diritti civili e politici della persona, vincolati al principio generale di non discriminazione.

Un’ottica che rende necessario modificare anche uno dei lemmi più noti e conosciuti al mondo perché non è la legge a dover essere uguale ma le persone di fronte ad essa e dunque il suo effetto finale, ponendo particolare attenzione anche al cosiddetto inclusion-washing.

Spero, in conclusione, di poter continuare a dare il mio contributo alle colleghe ed ai colleghi ed ai cittadini tutti per portare avanti il lavoro concreto che – attraverso la politica dei piccoli passi – porti alla eliminazione di ogni ostacolo formale o sostanziale che limita l’uguaglianza nell’accesso e nello svolgimento della professione e in generale nell’accesso alla giustizia tanto servizio che come lavoro.

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